Da Massimo Bruschi per La città invisibile
La cronaca di questi ultimi giorni ha riportato ancora una volta tristi esempi che ci hanno ricordato di quanto sia arduo per l'uomo combattere il suo istinto belluino. Cosa possiamo dire su questo argomento? Lupus est homo homini,[1] già sentenziava Plauto nel terzo secolo a.C (Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495). Sono trascorsi più di due millenni ma siamo ancora costretti a ripetere il monito "attenti al lupo". Quel lupo che a quanto pare continua ad abitare in noi.
In questi giorni sto rileggendo - forse dopo mezzo secolo - un libro straordinario: La peste di Albert Camus. Un vero capolavoro ma soprattutto il diario di un'epidemia che sembra quella che ha colpito il nostro pianeta in questi anni.
Vi ritroviamo le ansie, le paure, gli egoismi, gli altruismi, l'amore, il dolore, le separazioni, la speranza e la disperazione, i lutti, l'abnegazione dei medici, il ruolo della stampa e della politica. Di un'attualità impressionante.
Qui voglio riportare un brano relativo alla conversazione di Jean Tarrou (uno dei personaggi principali del romanzo, figlio di un importante magistrato) con Bernard Rieux (medico che lotta contro la peste per tutto il romanzo e narratore della cronaca). Trovo, infatti, che questo brano possa rappresentare una sorta di manifesto politico o, se volete, una visione del mondo che mi piacerebbe potesse prevalere su tutte le altre.
Tarrou:
«Così io so che non valgo più nulla per questo mondo e che dal momento in cui ho rinunciato a uccidere mi sono condannato a un definitivo esilio: saranno gli altri a fare la storia. So inoltre che non posso giudicare questi altri. Mi manca una qualità per essere un assassino ragionevole, non è quindi una superiorità, ma ora acconsento a essere quello che sono. Ho imparato la modestia. Dico soltanto che ci sono sulla terra flagelli e vittime e che bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere col flagello. Questo le sembrerà forse un po' semplice, io non so se è semplice ma so che è vero. Ho sentito tanti ragionamenti da farmi girare la testa, e che hanno fatto girare altre teste tanto da farle consentire all'assassinio, che ho capito come tutte le disgrazie degli uomini derivino dal non tenere un linguaggio chiaro allora ho deciso di parlare e agire chiaramente per mettermi sulla buona strada, di conseguenza ho detto che ci sono flagelli e vittime, nient'altro. Se dicendo questo divento flagello io stesso almeno non lo è col mio consenso. Cerco di essere un assassino innocente, lei vede che non è una grande ambizione. Bisognerebbe di certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, deve essere difficile, per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime in ogni occasione, per limitare il male. In mezzo a loro posso almeno cercare come si giunga alla terza categoria ossia alla pace».
Dopo un silenzio il dottor Rieux domandò se Tarrou avesse un'idea della strada da prendere per arrivare alla pace.
«Sì, la partecipazione al dolore degli altri».
Dopo un altro silenzio Tarrou confessa al dottore che ciò che davvero lo interessa è di sapere come si diventa un santo, e poiché lui non crede in Dio, vorrebbe più precisamente sapere come si può essere un santo senza Dio.
E qui Camus che, ricordiamolo, scrive subito dopo la fine della terribile seconda guerra mondiale e della terribile tragedia di Hiroshima e Nagasaki (il romanzo è stato pubblicato nel 1947), ci consegna, nelle due battute finali del dialogo, il suo amaro giudizio sull'uomo:
Rioux:
«Io mi sento più solidale coi vinti che con i santi, non ho inclinazione, credo, per l'eroismo o la santità.
Essere un uomo, questo mi interessa».
Tarrou:
«Sì, noi cerchiamo la stessa cosa ma io sono meno ambizioso».
Sono passati molti decenni da allora, avevamo sperato in una umanità migliore ma basta ascoltare un giornale radio o leggere un quotidiano per renderci conto che non abbiamo fatto passi in avanti. Qualche volta, anzi, mi sembra che si facciano passi indietro.
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1. Come è noto l'aforisma viene ormai comunemente citato nella forma breve homo homini lupus.⇑